Correre a piedi nudi (barefoot): pro e contro
Correre è libertà, esuberanza, vita. E correre a piedi nudi esalta queste sfumature, sia dal punto di vista emozionale che naturale e morfologico. Ecco perché la “Barefoot Running”, letteralmente, appunto, la corsa a piedi nudi, o “corsa naturale”, attrae ed affascina molti appassionati, a partire dal più famoso maratoneta a piedi nudi, quel fantastico Abebe Bikila, atleta etiope che, con questa modalità, divenne per due volte di seguito campione olimpico di maratona, a Roma nel 1960 e a Tokio 4 anni dopo.
Si potrebbe anche intendere, nell’accezione più vicina al mondo attuale, il Barefoot Running come corsa con l’utilizzo di calzature minimaliste, dotate di pochissimo sostegno e supporto ammortizzante, al pari, appunto, dall’essere scalzi. Pur essendo una sorta di “moda” nata proprio ai tempi di Bikila, ancora al giorno d’oggi vige una certa diatriba fra le due fazioni. Da un lato, ci sono i sostenitori della corsa naturale, secondo cui il modo più corretto di correre è così come la natura ci ha costruiti, per avere una maggiore sensibilità del piede durante la corsa ed una dinamica più efficiente e meno “d’urto” sul sistema muscolo-scheletrico. D’altro, i fautori delle calzature super-ammortizzate, che ritengono siano proprio questi impatti eccessivi al terreno, dovuti alla mancanza di scarpe, la causa di infortuni e dolori articolari, difendendo a spada tratta l’utilizzo di una buona dose di gomma, o gel o EVA, espanso particolarmente flessibile, per una corsa confortevole e spiccata.
Dal punto di vista della postura, alcuni studiosi tendono a far pendere l’ago della bilancia a favore del Barefoot Running in quanto, accentuando l’appoggio dell’avampiede, si riduce il peso di carico a terra, così come l’ampiezza della falcata, aumentando la velocità nella corsa. Ciò comporta movimenti meno accentuati sull’articolazione del ginocchio, con una maggiore attivazione della flessione plantare, migliorando la stabilità e la coordinazione dei gesti tecnici. Questo tipo di appoggio produce uno spiccato equilibrio del baricentro, rendendo la corsa meno dispendiosa dal punto di vista energetico. Diminuiscono così gli infortuni, secondo questa teoria, grazie alla riduzione degli impatti e ad una migliore gestione posturale.
Ma non tutti la pensano allo stesso modo: il rovescio della medaglia, riguarda soprattutto il nostro comune stile di vita e le abitudini al movimento. Siamo infatti abituati, per tradizione, ad utilizzare scarpe altamente protettive su superfici rigide ed uniformi e questa situazione ha reso i nostri piedi molto sensibili, non totalmente funzionali e nemmeno completamente stabili come dovrebbero. Pertanto, in tali condizioni, il sovraccarico di attività a piedi nudi aumenterebbe, andando ad annullare tutti i benefici descritti nella difesa della corsa a piedi nudi.
La realtà è, infatti, che i nostri piedi, “naturali” non lo sono più, in quanto protetti da calzature che hanno sempre pensato alla loro stabilità, all’ammortizzazione e al supporto, rendendo inutilizzati i sistemi fisiologici di cui siamo dotati dalla nascita. Addirittura, quindi, potrebbe essere vero l’esatto contrario della prima teoria, vale a dire che un piede non preparato alla corsa senza scarpe può portare ad un esagerato sovraccarico funzionale, con un alto rischio di infortuni e disagi, come la fascite plantare o il famoso “tendine d’achille”, per citare i più comuni.
Questa volta, dunque, si può davvero affermare che la verità sta nel mezzo: il Barefoot Running può essere una buona forma di corsa solo per corridori predisposti o sufficientemente preparati, mentre per tutti gli altri, senza le dovute cautele e allenamenti, può essere, al contrario, dannoso.
Suggeriamo un compromesso che potrebbe riappacificare i fautori dell’una e dell’altra scuola di pensiero: riconoscendo che la corsa naturale permette di riattivare piede e caviglia, migliorando la stabilità e la gestione degli impatti, tutti i runner dovrebbero provare a svolgere scalzi brevi esercizi di stretching, defaticamento o saltuari allenamenti, magari su terreni morbidi, per poi continuare ad utilizzare, in fase di competizione, le proprie scarpe abitudinarie. Questo sistema può consentire una corsa più efficiente e una stabilità più aderente anche con calzature podistiche classiche.
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